L’ictus lascia spesso disabilità di carattere motorio che devono essere trattate per rendere il paziente il più autonomo possibile. Prima inizia la riabilitazione, più è facile incidere positivamente sulla situazione, ma non sempre questo è possibile.
In molti casi, è l’arto superiore a rimanere leso, ma spesso il danno cerebrale colpisce anche gli arti inferiori, influenzando negativamente il passo. Il percorso riabilitativo è fondamentale in questi casi, perché stimola una rimodellazione delle sinapsi delle aree cerebrali colpite a creare nuovi circuiti di comando motorio.
Le varie équipe utilizzano dei protocolli personalizzati che, però, rischiano di essere standardizzati, quando invece sarebbe utile modulare i protocolli in base ai progressi fatti dal singolo paziente: ciò è essenziale per ottenere i massimi risultati. Ecco allora che da più parti si sperimenta l’uso di una riabilitazione robot assistita, in grado di fornire dei feedback personalizzati e quindi di aiutare gli specialisti a programmare la progressione degli esercizi e delle sfide da proporre al singolo paziente.
Certamente, un robot è più preciso nel misurare l’attenzione del paziente, la forza utilizzata, la resistenza e così via di un operatore umano, che si basa sulla propria percezione. Senza contare che il robot è in grado di assicurare lo stesso livello di efficienza per tutta la giornata, mentre un operatore umano è sottoposto a fatica e stanchezza. Infine, questo tipo di supporto consente di aumentare il rapporto operatore/pazienti, il che è un bene per le strutture sanitarie.
Di recente la riabilitazione robot assistita è stata oggetto di studio di un team statunitense, formato da specialisti del Dipartimento di Terapia Fisica dell’Università dell’Illinois a Chicago, del Dipartimento di Ingegneria Biomedica della Oregon Health and Science University di Portland e dell’azienda AMES Technology (Varas-Diaz G, Cordo P, Dusane S, Bhatt T. Effect of robotic-assisted ankle training on gait in stroke participants: A case series study. Physiother Theory Pract. 2021 Aug 23:1-10. doi: 10.1080/09593985.2021.1964658. Epub ahead of print. PMID: 34424126).
Cinque i pazienti inseriti nello studio, sottoposti a riabilitazione robot assistita dopo 6 mesi dall’evento ictus, quindi in una situazione di cronicità: tutti hanno seguito un training di 10 settimane, composto di 3 sessioni di 30 minuti la settimana durante le quali il robot induceva una dorsiflessione e una plantarflessione della caviglia di 5 gradi, modificate di ±15 gradi a seconda della risposta dei partecipanti.
Dal momento che i biofeedback si sono dimostrati importanti per motivare gli allenamenti, i partecipanti hanno potuto osservare visivamente gli esiti del proprio lavoro, oltre a ricevere degli stimoli vibratori capaci di stimolare la propriocezione. L’obiettivo dello studio è verificare gli effetti di questo protocollo sulla funzionalità della caviglia lesa dall’ictus, oltre che sulla cinematica e sui parametri spazio-temporali del passo. A tal fine, gli autori hanno valutato una serie di parametri: velocità della camminata, lunghezza del passo della gamba non paralizzata, percentuale di supporto della gamba paralizzata durante il ciclo del passo, forza della caviglia. I parametri sono stati misurati all’inizio del training, dopo l’ultima sessione e a tre mesi dalla fine del percorso riabilitativo. Secondo questo studio, la riabilitazione robot assistita affiancata da biofeedback e da stimolazione propriocettiva è capace di ridurre le disabilità della caviglia e di migliorare il passo, anche in soggetti con ictus cronico. Secondo gli autori, questa modalità potrebbe essere aggiunta alle terapie locomotorie tradizionali per migliorare la disabilità di questi pazienti, per i quali la plasticità sinaptica è più difficile da attivare.
Stefania Somaré