Se si potessero prevedere le avversità e le cadute che il futuro ci riserva, probabilmente la nostra vita sarebbe più semplice, ma sicuramente non ci darebbe la possibilità di trarre proprio dalle avversità quella forza indispensabile per compiere veri e propri capolavori di tenacia e perseveranza. È questo il caso di Samanta Demontis, ballerina al Teatro alla Scala di Milano prima, ciclista paralimpica per la squadra Obiettivo 3 di Alex Zanardi dopo la diagnosi di sclerosi multipla, quindi imprenditrice con il suo Muse, un centro dove benessere fisico e mentale si uniscono e trovano concretezza grazie al connubio tra sport e discipline sanitarie. L’ho incontrata per capire quali sono le radici di questa forza che alimenta la sua motivazione quotidiana.

Samanta, la tua storia ci racconta che a un trauma si può reagire trovando la forza per costruire qualcosa di importante.
Ho iniziato a studiare danza classica da bambina, per poi passare a un percorso più professionale e proseguendo i miei studi tra l’Accademia Princess Grace di Montecarlo e il Teatro alla Scala di Milano. A un certo punto del mio percorso, in chiusura di formazione, ho iniziato a non stare bene. Inizialmente non si capiva quale fosse il mio problema, poi arrivò la diagnosi di sclerosi multipla. Sto parlando di 25 anni fa, quando della malattia e delle forme di trattamento si sapeva ancora poco, il che portò i medici a prescrivermi un proseguimento della mia vita sedentario e l’abbandono della danza e di qualunque pratica sportiva. Questo per me rappresentò un forte trauma, in quanto tutte quelle che fino a quel momento erano state le mie prospettive di vita si videro interrotte bruscamente. Anche se mentalmente feci grande fatica, sentendomi depredata dei sogni per i quali avevo sacrificato la mia adolescenza, decisi comunque di formarmi come insegnante di danza riconosciuta a livello internazionale nella stessa Accademia di Montecarlo in cui avevo studiato, e come istruttore di pilates, disciplina che conoscevo fin da bambina proprio grazie al mio percorso come ballerina. In quegli anni, mentalmente, per me era molto difficile.

Nella tua vita c’è un prima e un dopo: una prima fase in cui il tuo grande amore è stato la danza e una seconda in cui lo sport ha affiancato e forse in parte sostituito lo spettacolo.
A seguito della diagnosi e del mio nuovo percorso di formazione, decisi dapprima di collaborare con strutture di Milano come istruttrice di pilates e con scuole di danza, ma continuava a mancarmi qualcosa. Un giorno, per caso, avvenne un incontro con una persona molto speciale nella mia vita per ciò che è riuscito a fare per me: Alex Zanardi. Lo incontrai la prima volta a una gran fondo della maratona delle Dolomiti, a cui partecipai senza aver mai praticato ciclismo prima. In quell’occasione Alex mi parlò del suo progetto Obiettivo 3, volto a reclutare ragazzi che hanno subito traumi e incidenti per riavvicinarli allo sport. In quel momento, vidi in tutto questo un’ancora e su invito proprio di Alex, dopo avergli raccontato la mia storia, decisi di partecipare a un suo campus, per conoscere la realtà e la famiglia (così la chiama lui) di Obiettivo 3. Ricordo ancora un aneddoto: arrivai a quel campus da completa inesperta, senza l’attrezzatura necessaria per il ciclismo. Fu proprio Zanardi a prendere un paio di suoi pantaloncini per amputati, quindi cuciti al fondo, tagliarli e darmeli perché potessi allenarmi. Conservo quei pantaloncini con grande affetto.

Quindi hai deciso di competere a livello agonistico con Obiettivo 3.
Quando partecipai al primo campus di Obiettivo 3 mi trovai a contatto con i ragazzi del team e con la loro mentalità. Lì è come se fosse iniziata per me una nuova vita. Grazie all’ingresso in questo gruppo, ad Alex e alla sua capacità disarmante di rendere le difficoltà non percepibili, non mi sono più sentita sola né diversa. Ciò che più di tutto ha contribuito a questo cambiamento è stata la capacità, grazie a questo incontro, di trovare una forza che dal momento della scoperta della mia malattia non avevo mai avuto; ho totalmente cambiato il modo di approcciare la vita, capendo che il limite in situazioni come la mia è dato dal contesto sociale che, pur non avendo mai provato una condizione simile, impone limiti che in realtà potrei non avere.

Questo ci spiega quanto per te sia importante la solidità mentale per trovare la forza di ricominciare attraverso lo sport.
Oggi mi sento una combattente. Lo sport è stato ed è una parte fondamentale della mia vita. Quando ho scelto di avvicinarmi al ciclismo non mi sono limitata a salire in bicicletta: ho deciso di superare costantemente i miei limiti, allenandomi sistematicamente, a scalare fisicamente montagne e a fare cose che prima mi erano state precluse dall’esterno. Questa è la mia più grande soddisfazione. Inoltre, sono convinta che lo sport mi abbia aiutato molto anche nella gestione della mia malattia: se al tempo della diagnosi l’approccio da parte del mondo medico era stato di portarmi verso la sedentarietà, oggi la tendenza è, al contrario, consigliare la pratica sportiva, cosa che ho sempre fatto. Questo probabilmente mi ha consentito di recuperare sempre dalle diverse crisi, anche molto violente, che negli anni ho subito e che mi hanno portato in passato, per esempio, a perdere completamente la vista o la sensibilità di un braccio. Sono sempre riuscita a uscirne recuperando al 100% e sono certa che lo sport abbia avuto un ruolo fondamentale. Mi sento molto fortunata in questo.

Potete leggere l’intervista integrale su Ortopedici&Sanitari.

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