Che l’attività sportiva sia fonte di benessere e prevenzione di un buono stato di salute non rappresenta certamente una novità, ma quando questo si trasforma in una vera e propria rivoluzione del proprio stile di vita, offrendo lo spunto per reagire ad avversità impreviste e trovare forze che non si pensava di possedere, allora il suo valore va ben oltre il seppur fondamentale ruolo fisico.
Ho incontrato Riccarda Ambrosi, atleta paralimpica prima e importante membro federale della F.I.B. (Federazione Italiana Bocce) ora, che con le sue infinite sfaccettature riesce concretamente ogni giorno a dare una mano a chi si trova in una condizione di disabilità, grazie a molti encomiabili progetti a cui lei stessa dà vita e promuove.
Riccarda, come sempre iniziamo la nostra intervista chiedendoti di raccontarci qualcosa relativamente alla tua storia.
Non la mia storia, ma le mie storie, perché penso finora di avere attraversato almeno tre differenti vite. Nella prima di queste, a un certo punto, mi sono accorta che c’era qualcosa che non andava. Ho sempre praticato molta attività sportiva, ma mi accorsi che improvvisamente iniziavo a fare molta fatica nel correre o più semplicemente nel fare qualche piano di scale a piedi.
Facendo le dovute analisi, si scoprì che entrambi i miei genitori erano portatori sani di una malattia rara chiamata distrofia muscolare dei cingoli. All’epoca avevo vent’anni e non avevo mai manifestato alcun problema particolare in tal senso. Scoprii che nella mia condizione avrei avuto il 50% di possibilità di nascere sana, il 25% di essere portatrice sana e il 25% di avere la malattia: ovviamente la sorte mi regalò l’ultima di queste possibilità.
Lo sviluppo della patologia fu, di fatto, molto lento e mi permise di svolgere una vita piuttosto normale e di camminare fino a una decina di anni fa, per poi passare gradualmente all’utilizzo della carrozzina, prima parzialmente per i lunghi spostamenti e da circa cinque anni totalmente. Tutto questo non ha, però, ridotto la mia voglia e la mia capacità di svolgere una vita estremamente dinamica, ovviamente con tutti i dovuti accorgimenti del caso.
L’aspetto positivo, se così si può dire, delle condizioni come la mia sta sicuramente nell’incominciare a rivedere le proprie priorità in modo totalmente diverso, dando il giusto valore alle cose che veramente contano e alle quali probabilmente fino alla diagnosi non avevo mai fatto molto caso.
Con la scoperta della mia patologia, di fatto, è terminata la mia prima vita, per dare inizio a una seconda, caratterizzata da una riorganizzazione di priorità ed esigenze e dall’intraprendere nuove attività, come quelle che mi hanno portato a collaborare con Ability Channel (principale canale web di informazione sul mondo degli sport paralimpici, ndr). Ora mi sento in una terza fase, in cui lo sport gioca il ruolo preponderante in termini di impegno, conoscenze sviluppate e amicizie.
Come sei arrivata allo sport paralimpico e perché hai scelto proprio le bocce?
Come ti dicevo, prima della scoperta della mia malattia ho sempre praticato molto sport, ho nuotato fino a raggiungere i livelli di agonismo nazionale, sciavo, praticavo tennis. Ero un po’ spericolata, diciamo, e mi piaceva lanciarmi in tutti i tipi di attività.
Quando ho dovuto capire e accettare quello che mi stava succedendo, ho avuto uno stop per riuscire a metabolizzare la mia nuova condizione. La pausa è durata poco, però. Dopo breve ho iniziato a informarmi su come poter praticare sport anche nella mia condizione, avvicinandomi allo sci per persone con disabilità, al rafting, al parapendio.
Le bocce, di fatto, erano già nella mia vita, mio padre era un giocatore agonistico; quindi, fin da bambina ho frequentato i campi e le competizioni, appassionandomi a questo mondo. Ho iniziato a giocare, seppure in carrozzina, sui campi per normodotati, in una società sportiva di Padova, facendo avanti e indietro da Iseo per tre anni per giocare con loro.
Conoscevo il presidente Marco Giunio De Sanctis, presidente della Federazione Italiana Bocce, grazie ad Ability Channel, con cui avevo seguito atleti paralimpici un po’ in tutta Italia e all’estero. Fu lui a convincermi a passare alla boccia paralimpica. Mi iscrissi alla società Superhabily di Milano e iniziai ad allenarmi e a fare gare, fino ad arrivare al titolo di campionessa italiana di boccia paralimpica.(…)