Planning preoperatorio in 3D: quali gli esiti nelle fratture di omero prossimale?

(immagine: Canva)

Le fratture di omero prossimale sono il terzo tipo di frattura più frequente nell’adulto, rappresentando circa il 5,7% di tutti i casi e avendo una incidenza annua di 60,1 fratture ogni 100 mila abitanti. I soggetti più colpiti sono gli over 65, soprattutto se affetti da osteoporosi.

Se trattate in modo inadeguato, queste lesioni possono anche sfociare in disabilità più o meno importanti, segnando la vita del paziente e comportando spese sociosanitarie aggiuntive.

Un recente studio retrospettivo cinese, condotto presso il Nantong Haimen People’s Hospital, si domanda se un planning preoperatorio basato sulla tecnologia 3D possa facilitare la preparazione dell’intervento e, quindi, il suo successo. Lo studio è pubblicato su BMC Musculoskeletal Disorders.

I vantaggi della tecnologia 3D

Per valutare l’efficacia della pianificazione 3D rispetto a quella tradizionale, gli autori hanno messo a confronto i casi di 51 pazienti operati per frattura di femore prossimale nel proprio ospedale, 24 con tecnica 2D e 27 con tecnica 3D.

In questo ultimo gruppo le immagini della TAC sono state elaborate per realizzare un modello 3D dell’arto del paziente e della frattura da trattare. Il tempo medio richiesto per la produzione del modello è stato di una sola ora per paziente.

I chirurghi hanno quindi potuto usare il modello virtuale per valutare i diversi tipi di approccio chirurgico possibili e scegliere il migliore per il caso, decidere le misure della protesi da utilizzare e contare il numero di piastre necessarie. Ciò ha permesso di ridurre significativamente il tempo dell’intervento e di effettuare l’impianto con un’accuratezza superiore rispetto alla modalità convenzionale. Che dire invece dell’esito sui pazienti?

Migliori anche gli esiti funzionali

Lo studio ha valutato anche gli outcome funzionali dei pazienti arruolati a 6 mesi dall’intervento. Gli indici e le scale utilizzati a tal fine sono il Constant-Murley Score e il Disability of the Arm, Shoulder, and Hand (DASH) Score. Sono stati poi presi in considerazione anche gli esiti radiografici e l’intensità dolorosa.

I risultati del confronto tra i due gruppi di studio sono interessanti: la tecnica 3D consente infatti di migliorare i valori del Constant-Murley Score e ridurre quelli del DASH, il che significa che i pazienti hanno un miglior recupero funzionale dall’arto superiore. Per quanto riguarda il dolore, questo è risultato essere inferiore nel gruppo trattato con tecnologia 3D, cosa che spesso consente di iniziare prima la riabilitazione.

Per concludere, quindi, l’uso del planning 3D porta una serie di vantaggi tanto al paziente quanto alla struttura sanitaria che la utilizza: tempi chirurgici inferiori significano infatti possibilità di aumentare i volumi di lavoro, mentre una maggiore funzionalità fa sì che il paziente sia indipendente e soddisfatto e non necessiti di ulteriori interventi.

Lo studio: Li, D., Zhou, R., Song, C. et al. Application of 3D printing technology in preoperative planning and treatment of proximal humerus fractures: a retrospective study. BMC Musculoskelet Disord 25, 962 (2024). https://doi.org/10.1186/s12891-024-08060-2