Si stima che nei prossimi anni le fratture da fragilità aumenteranno continuamente, in parallelo con l’invecchiamento della popolazione e la diffusione dell’osteoporosi. Tra queste fratture c’è anche quella dell’anello pelvico, normalmente causata da traumi a bassa intensità, che si associa a dolore da severo a moderato a carico del pube, delle regioni vicine al sacro e al coccige e dell’inguine.

Secondo uno studio del 2019 le fratture dell’anello pelvico causano perdita di indipendenza nel movimento e un aumento del tasso di mortalità a 1 anno superiore al 20%. A seconda del livello di gravità della frattura, il percorso clinico è di tipo conservativo o chirurgico: tipicamente il primo approccio si usa per fratture classificate di livello I, mentre il secondo per fratture di livello III o IV. Che fare, invece, nelle fratture di tipo II? Prova a rispondere a questa domanda un recente studio coreano, pubblicato dal Tianjin Medical University Baodi Hospital sul Journal of Orthopaedic Surgery and Research.

I due metodi utilizzati

Sono 150 gli anziani arruolati per questo studio, tra gennaio 2019 e dicembre 2022, con un periodo medio di follow up di 22 medi circa. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi, per poter effettuare un confronto efficace: 68 sono stati trattati con una chirurgia minimamente invasiva e 82 con un trattamento conservativo, basato su gestione del dolore e terapia anti-osteoporosi.

Gli outcome clinici sono stati valutati con una serie di questionari: il Majeed questionnaire e il Short Musculoskeletal Function Assessment auto-riportato (SMFA), mentre per la qualità di vita sono stati usati la Short-Form 36 Health Survey e il questionario breve sulla qualità di vita dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La chirurgia impatta meglio sulla qualità di vita

Ciò che gli autori hanno osservato è che i due tipi di approccio danno esiti clinici molto simili: i risultati ottenuti dal questionario Majeed e dal SMFA sono infatti del tutto sovrapponibili, tanto al momento del ricovero che alla fine del follow-up. Entrambi gli approcci, quindi, favoriscono un miglioramento funzionale.

Che dire, invece, della qualità di vita? Le differenze sono inesistenti al momento del ricovero, mentre se si confrontano gli esiti alla fine del follow up si vede che l’intervento minimamente chirurgico si associa a una maggiore benessere fisico, sociale e ambientale, il che significa che i pazienti hanno riportato di avere maggiore vitalità, salute mentale ed emotiva e di vivere meglio il proprio ruolo sociale.

Questi risultati suggeriscono quindi di preferire l’intervento chirurgico rispetto al trattamento conservativo quando si abbia da trattare una frattura dell’anello pelvico da fragilità: forse costerà di più al momento, ma il maggior benessere conseguente probabilmente permetterà di rientrare della spesa, risparmiando su successivi interventi.

Studio: Zong, Y., Li, J., Li, Z. et al. Minimally invasive surgery and conservative treatment achieve similar clinical outcomes in patients with type II fragility fractures of the pelvis. J Orthop Surg Res 20, 210 (2025). https://doi.org/10.1186/s13018-025-05581-x

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