L’ingente aumento degli interventi di artroplastica totale di ginocchio (TKA, total knee arthroplasty) a cui abbiamo assistito negli ultimi anni porta con sé anche un’impennata dei casi di frattura periprotesica, la cui incidenza è stimata al 2,5%, con sede più frequente nel femore distale, seguito da rotula e tibia prossimale.

Se si considera che le stime suggeriscono che entro il 2040 le artroplastiche totali del ginocchio aumenteranno del 139%, si rischia di incorrere in quello che Samir Mehta, direttore del servizio di Traumatologia Ortopedica e Fratture dell‘University of Pennsylvania Health System, definisce «una tempesta di fratture periprotesiche».

Per capire come intervenire al meglio per prevenire la situazione descritta, occorre prima di tutto capire chi è il paziente che si sottopone ad artroplastica totale di ginocchio e che rischia di incorrere in una frattura periprotesica: rispetto al passato, si tratta di soggetti più anziani che continuano ad avere una vita attiva, anche dal punto di vista sportivo, quindi, soggetti che possono avere problemi di fragilità ossea e che, al contempo, mettono sotto stress l’arto inferiore. In questi casi, può bastare anche un trauma a bassa energia per determinare la frattura.

Il tema è affrontato in uno studio pubblicato su OrthopedicsToday, in cui si ricerca la migliore tecnica per affrontare questo genere di fratture. Al di là del soggetto che indossa la protesi di ginocchio, la frattura periprotesica può essere favorita anche dal tipo di intervento effettuato e dal tipo di protesi impiantata.

Placche e chiodi intramidollari sempre più performanti

Storicamente le due tecniche utilizzate per ridurre le fratture periprotesiche fanno uso di placche con viti o chiodi intramidollari, ma, a detta degli esperti intervenuti su OrthopedicsToday, si tratta di tecniche imperfette che, spesso, portano a una non unione della frattura.

Tra le novità introdotte negli ultimi anni per migliorare la cura delle fratture periprotesiche ci sono le piastre di compressione, che consentono di ottenere una fissazione migliore.

Anche i chiodi intramidollari sono stati migliorati, portando a maggiore stabilizzazione, così da consentire un carico maggiore e la ripresa precoce delle attività.

Un’altra tecnica introdotta di recente prevede l’uso combinato di due dispositivi: o placca e chiodi midollari, o due placche, una posizionata medialmente e l’altra lateralmente sul femore. Anche questa tecnica, a detta di Mehta, assicura la stabilità dell’osso e riduce al massimo il rischio di non unione.

La tecnica del doppio fissaggio è utile anche nei pazienti che soffrono di fragilità ossea. Ma veniamo a un’altra tecnica recente: la sostituzione del femore distale. Questa può essere una soluzione in alcuni pazienti, ma se la sostituzione della parte con una protesi dovesse portare a complicanze, poi non ci sarebbero alternative da mettere in campo. In questi casi si può arrivare all’amputazione dell’arto. Quindi occorre scegliere questa procedura con estrema attenzione.

Per concludere, il mondo della ricerca sta studiando soluzioni ancora più efficaci per fissare e stabilizzare le fratture periprotesiche, così da assicurare quella ripresa precoce delle attività che è necessaria per affrontare il percorso riabilitativo e recuperare la funzionalità del paziente.

Fonte: Bostrom N, et al, Novel techniques advance periprosthetic fracture care J Orthop. 2024;doi:10.1016/j.jor.2024.02.039