Quella della medicina rigenerativa in ambito articolare è una storia iniziata 40 anni fa e che vide un punto di svolta nel 1994 con la proposta, da parte di un team svedese, di utilizzare condrociti autologhi del paziente per favorire la rigenerazione delle cartilagini lesionate. Da allora sono stati innumerevoli gli studi che hanno proposto tecniche di medicina rigenerativa articolare, permettendo la crescita del settore.

Un recente lavoro del Laboratorio RAMSES dell’Istituto Ortopedico Rizzoli IRCCS di Bologna, pubblicato sulla rivista Pharmaceutics, ripercorre alcuni dei più importanti passaggi di questa evoluzione, prendendo in considerazione vari tipi di approccio.

Dalle cellule ai concentrati cellulari

Il primo approccio di medicina rigenerativa delle cartilagini ha fatto della cellula, in particolare del condrocita autologo, il proprio fulcro: inizialmente inneggiato come un approccio estremamente efficace, nel tempo sono emerse varie problematiche che hanno spinto i ricercatori a individuare nuovi tipi cellulari.

Oltre a questioni di carattere chirurgico, infatti, nel tempo ci si accorse che il condrocita introdotto a livello del danno cartilagineo tendeva a svilupparsi solo in 2D, spesso perdendo la propria differenziazione e dando origine a cellule fibrose.

Tra le prime soluzioni vi sono state l‘ingegnerizzazione dei condrociti e l’introduzione degli scaffold, strutture 3D su cui depositarli per favorirne la proliferazione. Anche gli scaffold si sono evoluti nel tempo, per essere sempre più biocompatibili e biodegradabili e simili al tessuto nativo.

L’innovazione più recente, al centro della ricerca attuale, sono gli scaffold a base di idrogel iniettabile, caratterizzati da una minima invasività sulla cartilagine del paziente e che possono essere utilizzati come vettori per cellule e le molecole biologiche.

Restando in ambito cellulare, negli anni i ricercatori hanno anche individuato le cellule mesenchimali, normalmente prelevate da tessuto adiposo o midollo osseo, come stimolanti la rigenerazione delle cartilagini.

Gli studi più recenti hanno osservato che le cellule mesenchimali non solo si differenziano in condrociti, ma hanno anche un effetto antinfiammatorio e antfibrotico, favoriscono la formazione di nuovi vasi sanguigni e modulando il sistema immunitario locale.

Inoltre, l’efficacia di queste cellule dipende meno dall’età del paziente rispetto ad altri tipi cellulari. Tuttavia, la sicurezza a lungo termine dei trattamenti a base di cellule mesenchimali non è ancora stata provata.

Anche le cellule mesenchimali possono essere ingegnerizzate e sfruttare scaffold, per esempio a base di idrogel: uno studio recente propone la semina di queste cellule tramite un idrogel basato sulla membrana amniotica. Accanto alle cellule, sono stati studiati vari tipi di concentrato cellulare, in primis il concentrato di midollo osseo, ingegnerizzato o meno, uno dei pochi metodi già approvati dalla Food & Drug Administration statunitense.

Sotto la lente dei ricercatori c’è poi la frazione vascolare stromale, ingegnerizzata o meno. Questo concentrato cellulare veniva inizialmente prodotto a partire dal tessuto adiposo, ma di recente è stata individuata un’altra fonte, il corpo di Hoffa, a livello della patella.

Dalle cellule pluripotenti indotte al secretoma alla terapia genetica

Il problema dei sistemi visti sin qui è che devono essere “creati” al momento. Un aspetto che potrebbe venire bypassato dalle cellule pluripotenti indotte, realizzate a partire da cellule differenziate con l’introduzione di quattro geni che, insieme, inducono la cellula a tornare pluripotente.

Queste cellule possono poi essere stimolate a differenziare in qualunque tipo cellulare, compresi i condrociti. Esistono linee di ricerca incentrate proprio su questa differenziazione.

Nel frattempo, è emersa l’importanza delle sostanze secrete dalle cellule mesenchimali sul successo rigenerativo di un tessuto. Si parla di secretoma, ora al centro di parecchi studi. Il punto è capire quale sia il secretoma più adatto a ottenere un successo rigenerativo a livello cartilagineo. Gli idrogel giocano un ruolo importante anche in questo ambito.

Un altro tipo di approccio consiste nel prelevare cellule del paziente e modificarle geneticamente per esprimere proteine con effetto antinfiammatorio, capaci di inibire la degenerazione delle cartilagini e, nel contempo, di stimolarne la sintesi da parte dei condrociti.

Si parla tuttavia di un approccio molto studiato, ma ancora poco testato nell’applicazione clinica. Occorre prima definirne meglio la sicurezza, per esempio.

Il gruppo del Rizzoli sottolinea come tutti gli approcci presentati siano potenzialmente utili per la cura delle cartilagini lesionate; tuttavia, esistono impedimenti, come la mancata standardizzazione della descrizione delle terapie cellari stesse, che rallentano i risultati scientifici.

Dal 2019 esistono indicazioni che aiutano i diversi gruppi di ricerca a comunicare le terapie cellulari in modo standardizzato e accettato dalla comunità internazionale: sono pubblicate su The Journal of Bone & Joint Surgery.

Studio: Roseti, L.; Cavallo, C.; Desando, G.; D’Alessandro, M.; Grigolo, B. Forty Years of the Use of Cells for Cartilage Regeneration: The Research Side. Pharmaceutics 2024, 16, 1622; https://doi.org/10.3390/pharmaceutics16121622

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