Infezione periprotesica e approccio DAIR

Considerato il gold standard, l’approccio DAIR risulta meno efficace in pazienti con protesi già revisionata: sono i risultati di uno studio norvegese.

Con un’incidenza che varia da 0,3% a 3%, le infezioni periprotesiche di anca e ginocchio sono una complicanza relativamente frequente, soprattutto se si considerano l’elevato volume d’interventi protesici realizzati ogni anno nel mondo. Solo per dare qualche numero, nel 2019 solo negli Usa sono state effettuare quasi 481 mila artroplastiche di ginocchio e poco più di 262 mila artroplastiche di anca.

Se vogliamo dare qualche numero per l’Europa, invece, le stime parlano di 650 mila artroplastiche di ginocchio per il 2017. Con questi numeri, anche percentuali basse portano a volumi consistenti di infezioni periprotesiche da gestire, associate a costi non indifferenti: i calcoli parlano di oltre 100 mila euro per paziente, tra costi diretti e indiretti.

Uno studio norvegese, condotto dal Dipartimento di Chirurgia Ortopedica del Betanien Hospital di Skien e dalla Divisione di Chirurgia Ortopedica dell’Oslo University Hospital Ullevål, valuta l’efficacia di un trattamento DAIR su 82 pazienti affetti da infezione periprotesica.
La sigla DAIR sta per Debridement, Antibiotici, Irrigazioni e Ritenzione dell’impianto e prevede una iniziale pulizia chirurgica dell’impianto, seguita da terapia antibiotica specifica per l’agente infettivo coinvolto e mantenimento dell’impianto.

L’approccio DAIR si conferma efficace

Il lavoro del team, pubblicato su HIP International, è prospettico e multicentrico e vede la partecipazione di 8 diversi ospedali norvegesi, per un totale di 82 pazienti, come già indicato. La procedura utilizzata prevede una iniziale pulizia chirurgica dell’impianto seguita da sei settimane di terapia antibiotica, inizialmente di carattere empirico e, una volta arrivati gli esiti dell’antibiogramma, più specifica.

Gli autori sono andati a valutare il tasso di successo di gestione dell’infezione a distanza di due anni dall’intervento DAIR, risultato essere dell’84%: ciò significa che 13 pazienti hanno sperimentato nuovi eventi infettivi a carico della protesi, dovendo essere sottoposti a ulteriori procedimenti.

Tuttavia, il tasso di successo viene ritenuto positivo dagli autori, dal momento che l’approccio DAIR consente di preservare l’impianto protesico. Lo studio fornisce un secondo livello di approfondimento, valutando anche i fattori che mettono a rischio l’efficacia dell’approccio.

Fattori di rischio da considerare

Sapere preventivamente quali pazienti rischiano di non ottenere il massimo risultato da un trattamento permette di seguirli meglio nel follow up o di optare per altre scelte cliniche.

Gli autori dello studio sono quindi andati a studiare quali fattori riducono il tasso di successo dell’approccio DAIR, individuandone uno molto importante: il metodo è meno efficiente nel trattare le infezioni periprotesiche di impianti revisionati rispetto a quelli primari: si parla di un 65% di successo contro l’89%. I chirurghi ortopedici dovrebbero quindi optare per metodi differentidal DAIR nel gestire l’infezione periprotesica di impianti revisionati.

Lo studio: Karlsen ØE, Snorrason F, Westberg M. A prospective multicentre study of 82 prosthetic joint infections treated with a standardised debridement and implant retention (DAIR) protocol followed by 6 weeks of antimicrobial therapy: favourable results. Hip Int. 2024 Nov 19:11207000241295604. doi: 10.1177/11207000241295604. Epub ahead of print. PMID: 39562499