Viste le prospettive d’innalzamento della vita media a carattere mondiale e ancor più in un Paese come l’Italia spesso definito a “crescita demografica zero”, prendere in forte considerazione le necessità quotidiane della terza età diventa non più un’ipotesi bensì una necessità.
È chiaro che l’innalzamento delle aspettative di vita rappresenta di per sé un valore, figlio del progresso, di approcci alla salute sempre più preventivi e di un complessivo “vivere meglio” rispetto anche solo a pochi decenni fa. Tuttavia, è indubbio che una popolazione più anziana è anche sinonimo di popolazione più bisognosa e spesso costosa.
Costo sociale che deve essere analizzato sotto una lente d’ingrandimento capace di tenere in considerazione non solo l’anziano in sé ma anche il suo intero contesto familiare.
Si pensi, per esempio, ai molti e troppo spesso nascosti casi di persone costrette a rivoluzionare la propria vita nella necessità di accudire ogni giorno un parente affetto da decadimento cognitivo, patologia tanto ingravescente quanto invalidante per l’intera cerchia di persone che gravitano attorno al malato. Patologie per le quali non esiste cura, non si conosce soluzione ma di cui è ben noto quanto sconvolgente ne sia la gestione.
Figli posti di fronte alla necessità di scegliere tra mantenere il proprio lavoro o accudire il proprio genitore, pena il doversi affidare a supporti professionali domiciliari o all’istituzionalizzazione in strutture dedicate, in entrambi i casi scelta estremamente costosa.
Il decadimento cognitivo è una lenta e inesorabile caduta in un buio da cui purtroppo non si può fare ritorno, una nebbia capace di annullare la storia di una persona, eliminando i suoi ricordi e disconoscendo i suoi affetti.
Nel mio percorso professionale, mi è capitato di studiare a fondo questa problematica, soprattutto dal punto di vista del cosiddetto caregiver burden, ovvero il carico psicofisico ed emotivo gravante su chi si trova nella condizione di dover assistere una persona affetta da patologie come l’Alzheimer.
In questo frangente ho compreso quanto proprio il caregiver in tali casi acquisisca competenze necessariamente professionali, maturando la capacità di gestire per il proprio assistito aspetti come le ADL (attività di vita quotidiana), attività di stimolazione cognitiva e di mantenimento di un buono stato di salute fisica e motoria, gli aspetti nutrizionali, la posologia farmacologica.
Fortunatamente, proprio il peso sociale della questione, ha dato stimolo per lo sviluppo di numerose soluzioni, anche molto sofisticate dal punto di vista tecnologico, volte ad assistere chi assiste, semplificando e qualificando il suo lavoro e il dialogo costante con i professionisti sanitari a supporto.
Anche il mondo medico e della ricerca ha investito molto in nuove tecnologie a riguardo: ne sono un esempio le possibilità oggi offerte dalla telemedicina e dalla teleriabilitazione al fine di monitorare costantemente e da remoto i parametri vitali e biometrici dei pazienti o le soluzioni riabilitative che sfruttano realtà virtuale e aumentata per la stimolazione cognitiva e il trattamento di patologie complesse di carattere neurologico.
A questo scopo abbiamo deciso di dare voce, in questo numero, al bellissimo progetto messo in atto all’interno dell’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano (TO): la realizzazione di una camera immersiva dove pazienti affetti da differenti condizioni possono approcciarsi a soluzioni stimolanti e altamente innovative. Il nuovo al servizio di chi è più anziano, il vero e giusto ruolo della buona tecnologia