Un bambino non è un adulto in miniatura. Chiunque abbia seguito una formazione medica o sanitaria in genere si sarà sicuramente sentito ripetere questa frase più volte durante insegnamenti relativi alle differenti discipline pediatriche.

Semplice quanto non scontato. Approcciarsi a un bambino pensando che le sue esigenze, il rapporto con il mondo che lo circonda e con il proprio contesto familiare siano affrontabili allo stesso modo di quanto si faccia con un adulto è un errore concettuale che non può essere trascurato.

Il paziente bambino spesso non ci racconta quanto vive e sente e in molti casi è compito di noi professionisti saper interpretare il non detto o il detto in modo non esatto o da chi, come i genitori, anche se a fin di bene, non dovrebbe interpretare con i propri occhi e filtri le necessità dei propri figli.

È sicuramente un compito non semplice per il quale pazienza, empatia e comprensione sono armi fondamentali per l’interpretazione di sintomi e deficit che altrimenti potrebbero indurre facilmente a conclusioni affrettate ed errori d’interpretazione.

Mi capita spesso, durante interventi per eventi formativi o insegnamenti universitari, di indurre i miei discenti a una considerazione: durante una vostra valutazione, per esempio un’analisi posturale, in cui il paziente è un bambino, che ovviamente si presenterà da voi accompagnato dai genitori, quanto del vostro tempo è dedicato ad analizzare il comportamento proprio di questi ultimi e il rapporto tra loro e i propri figli?

La domanda può sembrare provocatoria, o poco pertinente, ma in realtà nasconde lo stimolo a una riflessione che nessuno di noi dovrebbe mai trascurare: nella fase della vita che come nessun’altra successivamente risulta formativa del carattere di un individuo, il ruolo del rapporto genitore-figlio è innegabile.

Con ricadute non solo a livello psicologico, ma anche di carattere fisico, come proprio alcuni tipici atteggiamenti posturali e comportamentali del giovane adolescente ci insegnano.

Personalmente più volte mi è capitato di trovarmi di fronte a padri e madri che con un fare oppressivo, causavano comportamenti nei propri ragazzi visivamente influenzati e limitati.

Asset posturali di chiusura, impaccio motorio, difficoltà nel gesto atletico con conseguente e crescente senso di inadeguatezza e di necessità di voler dimostrare sono solo alcune delle conseguenze più dirette e facilmente riscontrabili, per l’interpretazione delle quali una sensibilità sufficiente e un occhio allenato sono indispensabili.

Lungi da me addentrarmi in campi che esulano dalla mia competenza, ma ritengo che se tale attenzione a dettagli apparentemente insignificanti fosse maggiormente “sponsorizzata” tra tutti i professionisti della salute, molte delle problematiche che caratterizzano l’età dello sviluppo e, conseguentemente, quella adulta potrebbero essere ridotte e prevenute.

Largo, quindi, anche in questo caso alla più completa interdisciplinarietà, con una cross competence con gli specialisti della psicologia che potrà sembrare azzardata ma che ho sperimentato essere essenziale, soprattutto nella valutazione e nel trattamento dei più giovani.

La domanda nasce, però, spontanea: quanto la nostra considerazione di paziente deve in questo caso essere limitata al diretto destinatario del nostro intervento e quanto, invece, allargata all’intero nucleo familiare, perlomeno in fase valutativa?

Un caro amico osteopata neonatale, a cui devo molto della visione aperta e trasversale che caratterizza il mio modo d’interpretare lo studio della postura, un giorno mi disse: “mi sono accorto che mentre trattavo un neonato, naturalmente in presenza dei genitori, gran parte dei miei sforzi erano destinati a interpretare il loro atteggiamento e a limitare la loro influenza sul mio intervento. Ho quindi deciso che le mie sedute sarebbero da lì in poi state di gruppo, per l’intero nucleo familiare, per evitare che quella nuova vita si tramutasse in una protesi delle aspettative dei genitori e che quello che dovrebbe essere un evento di sola gioia diventasse foriero di preoccupazioni spesso infondate”.

Gli osteopati hanno sempre avuto una sensibilità ineguagliabile in questo senso.

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